A cura di Maria Vittoria Gozio ed Elena Violetti. Ortigia, Siracusa.
INTRO
Quest’anno all’interno degli spazi espositivi del Castello Maniace l’artista Davide Dall’Osso ha realizzato un’installazione di più di 70 sculture attraverso la quale vuole raccontare della possibilità di un mondo in cui si attui l’uguaglianza di genere.
Entrando nella sala Ipostila sentiamo risuonare voci di donne. Sono le voci dell’onda scultorea, un’onda femminile leggera ma inarrestabile. E’ Aretusa che in sé accoglie Desdemona, Griselda e tutte le altre figure femminili della letteratura che, avendo ‘vissuto’ la violenza di genere, dalla loro brutale esperienza ci offrono una possibilità di cambiamento che possa portare attraverso ‘il vero all’amore’ ovvero ad un’uguaglianza di genere In un mondo “perfetto”.
Quest’onda scultorea (come quasi la totalità delle opere create da Davide Dall’Osso) è realizzata interamente con scarti di un polimero plastico, il policarbonato, di recupero industriale. Lo scultore figurativo Dall’Osso lavora da 25 anni su questi materiali per un’idea green e di economia circolare.
L’installazione sarà accompagnata da una performance che avrà luogo il giorno dell’inaugurazione il 4 giugno 2022 alle ore 19.00 e che coinvolgerà la danzatrice e coreuta Francesca Lettieri assieme all’attrice Camilla Violante Scheller (la cui voce narrante sarà parte integrante dell’installazione per tutta la durata della mostra), le quali daranno movimento e voce all’installazione, con la regia di Fabrizio Visconti. Della performance verrà realizzato un corto d’arte con la regia e montaggio di Paolo Boriani e Giuliano Caprara, in qualità di direttore della fotografia, che sarà visibile all’interno degli spazi del Castello Maniace dai primi di luglio.
CURATELA
Per Davide Dall’Osso ogni installazione è una drammaturgia che racconta del nostro contemporaneo scisso tra l’onirico e il materico, che prende forma nello spazio e nelle emozioni di ognuno di noi. L’artista arriva dal teatro: la tensione emotiva che prorompe da ogni sua opera trasforma lo spazio in un proscenio esistenziale.
L’incontro con la regista lirica Rosetta Cucchi di due anni fa ha portato l’artista a collaborare alla scenografia dell’Opera “Griselda” di Scarlatti dove si racconta di violenza di genere e quest’anno nell’Opera di Rossini “Otello”, sempre per una sua regia, dove si parla di femminicidio. L’opportunità di confronto con le figure di Griselda e Desdemona ha gettato le radici di quest’installazione. Aretusa rappresenta il trait d’union per poter parlare di emancipazione dalla violenza di genere attraverso un’installazione scultorea.
Un’onda di figure femminili, come ballerine di danza classica, irrompe nella sala Ipostila. Dall’Osso ha scelto la raffigurazione scultorea del tutù perché, nell’immaginario collettivo, questo abito racchiude in sé la leggerezza e la determinazione, il corpo e la tecnica, l’arte e la narrazione e rafforza, nell’installazione dell’onda, l’idea che la stessa sia nata non da un impeto di un momento ma dalla forza di una meditata esperienza di vita.
Le sculture di Dall’Osso sono proiettate in una precisa direzione e cercano una ragione d’esistere attraverso la relazione con la luce. Danno l’impressione di essere sempre in movimento, offrendo una visione di continua metamorfosi rispetto allo spazio.
L’onda calma ma determinata, inarrestabile, dove ogni goccia di blu è la voce delle donne nate dalle parole dei romanzi, delle drammaturgie e dei libretti d’opera, dagli scritti dei poeti, donne che hanno subito violenza o femminicidio.
La scelta dell’artista di dare voce alle figure femminili della letteratura scaturisce dall’esigenza di poter mostrare una visione postuma della violenza stessa, dove le donne che l’hanno subita possano raccontarsi e raccontarci di una possibilità di cambiamento, di come fare a fermare quel male che ha segnato la storia di ognuna di loro. Le loro voci liberatorie, potenti infrangono le pareti ovattate delle nostre esistenze.
L’onda azzurra della ninfa Aretusa prorompe nel Castello Maniace e ci guida attraverso la sala Ipostila. Un’onda quieta ma potente che racconta la sua storia, di come venne trasformata in fonte da Diana per sfuggire alla passione di Alfeo, figlio di Oceano, e di come questi, in forma di fiume, si sia così unito a lei. Il suo movimento imperituro e inestinguibile accoglie altre voci di donne che si riflettono sulle colonne federiciane. Danzando, chiedono di essere ascoltate, forti dell’unità che le parole creano. Sentiamo le parole di Desdemona, la gentile moglie del Moro di Venezia la cui folle gelosia ha portato all’omicidio della donna. Racconta, Griselda, della forza con cui ha resistito alla violenza domestica messa in atto dal marito Gualtiero, marchese di Saluzzo.
Accanto grandi volti di donne che osservano la danza dell’onda, con la loro impalpabile trasparenza, prendono consistenza nel narrarsi e ascoltare i racconti dell’altrui violenza subita. Attraverso le loro voci scaturisce la riflessione e l’urgenza di raggiungere l’uguaglianza di genere.
All’esterno volti materici, forti, statuari e bendati, poiché incapaci di vedere e capire fino in fondo, attendono in ascolto. E improvvisamente ci rendiamo conto che siamo tutti noi. Con urgenza, ci ritroviamo a chiedere a quelle voci di donne la formula per emanciparci dalla violenza.
Davide Dall’Osso non ha mai cercato conferme del suo essere imponendo il proprio pensiero, non si è mai tirato indietro di fronte a situazioni che mettevano a repentaglio le sue certezze ma, trovandosi di fronte alle cronache di violenza di genere, ammette di essersi reso conto di aver fatto un passo a lato. Un passo a lato per non esserne veramente toccato, talmente attonito da non riuscire a trovare un modo per rispondere.
L’artista allora si domanda che cosa si debba fare per reagire; per lui l’arte dell’ermeneutica diventa l’arte di saper ascoltare, non come semplice situazione passiva, ma come azione dinamica e intellettuale, che implica la capacità di comprendere quello che viene trasmesso con le parole e con il corpo. Tendere tutti i sensi, vedere l’altro e porgere una mano per aiutare. Togliere le bende che ci occludono sia la vista che l’udito e unire le nostre parole al coro di voci per trovare nuove risposte; cominciare ad affrontare questo male che ferisce e dissangua la vita di ognuno di noi, come singolo e come comunità. Questa è la formula: non fare un passo a lato per non essere toccati ma mettersi a disposizione, accogliendo.
Emanciparsi, dunque, insieme. Il femminile e il maschile uniti per un mondo utopisticamente “perfetto”. L’uguaglianza è la prova d’Amore ed è di questo Amore che l’artista parla.
Il raccontarsi di queste donne è il loro consiglio per noi; il sentiero che esse ci indicano verso un mondo “perfetto”.